“Le recenti decisioni sono deludenti come al solito, senza una ragione comprensibile. Ho ancora problemi alla schiena e ho bisogno di forti antidolorifici e di qualcosa per dormire meglio […] il mio stato mentale non è un granché dall’ultima udienza”.
“continuo a pensare all’università, all’anno che ho perso senza che nessuno ne abbia capito la ragione […] voglio mandare il mio amore ai miei compagni di classe e agli amici a bologna. Mi mancano molto la mia casa lì, le strade e l’università. Speravo di trascorrere le feste con la mia famiglia ma questo non accadrà per la seconda volta a causa della mia detenzione”
Chiunque ha sentito queste parole ha percepito il senso di urgenza nel poter fare qualcosa che provasse a resituire la libertà a questo giovane studente ed attivista egiziano che frequentava un Master all’Università di Bologna.
Fare “qualcosa” per la sua liberazione, oggi è fare un passo verso la difesa dei diritti umani nel mondo.
È vero, Patrick non è un cittadino italiano, ma poco importa, perché quello che sta subendo è ingiusto e irrispettoso per qualunque essere umano.
Un’ingiustizia che facciamo un po’ meno fatica a riconoscere dopo che Giulio Regeni è stato sequestrato, torturato e ucciso cinque anni fa in Egitto e con la ricostruzione della che Procura di Roma ci ha restituito è stata come un pungno allo stomaco a ciascuno di noi.
Ha subito per giorni sevizie e torture prima di morire a causa delle lesioni riportate. E’ la ricostruzione contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini. “per motivi abietti e futili ed abusando dei loro poteri, con crudeltà – si legge -, cagionavano a giulio regeni lesioni, che gli avrebbero impedito di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre 40 giorni” e che “hanno comportato l’indebolimento e la perdita permanente di più organi”. I quattro, “seviziandolo”, hanno causato a regeni “acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni: attraverso strumenti dotati di margine affilato e tagliente ed azioni con meccanismo urente, con cui gli cagionavano numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico dorsale e degli arti inferiori; attraverso ripetuti urti ad opera di mezzi contundenti (calci o pugni e l’uso di strumenti personali di offesa, quali bastoni, mazze) e meccanismi di proiezione ripetuta del corpo dello stesso contro superfici rigide ed anelastiche”.
Non possiamo, quindi, pensare che le vicende siano diverse solo perché Giulio era un cittadino italiano e Patrick, invece, per nascita non lo è.
Non ha senso ragionare di limiti e confini davanti a vicende così.
C’è solo una cosa di cui ha senso parlare: come è possibile sottrarre Patrick all’ingiustizia della sua detenzione ma soprattutto di come è possibile salvarlo così come – purtroppo -non è stato possibile fare per giulio.
Due giovani che appartengono alla stessa generazione, impegnati nel mondo accademico e interessati al lavoro di ricerca proprio per quei diritti umani negati. Due giovani come tanti figli della nostra terra che non hanno fatto altro che coltivare i propri sogni e studiare per ciò che avevano a cuore e provare così, nel proprio piccolo a cambiare le tante ingiustizie che viviamo oggi.
Certo, non basta questa “cittadinanza onoraria” per pulirci la coscienza di fronte a continue compromissioni dei diritti umani in tutto il mondo.
Non basta se il nostro Paese mentre chiede la verità per Giulio Regeni e la liberazione di Patrick Zaki continua a fare affari con l’Egitto e a calpestare la legge che dal 1990 vieta la vendita degli armamenti a quei paesi che violano i diritti umani. Non basta soprattutto perché anche nel nostro pPaese vivono tante persone in condizioni disumane come riportato in un report di Amnesty International e che facciamo finta di non vedere.
Rifugiati e richiedenti asilo
Le politiche e la retorica anti-immigrazione del primo governo conte hanno continuato ad avere un forte impatto sull’esercizio dei diritti da parte di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, all’interno del paese così come alle frontiere.
La politica dei “porti chiusi”
L’italia ha continuato a perseguire una politica dei “porti chiusi”, con l’obiettivo di impedire alle persone soccorse in mare di sbarcare nel paese ritenendole una potenziale minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza.
Cooperazione con la libia per il controllo dei flussi migratori
Il numero degli attraversamenti irregolari ha continuato a diminuire a partire da agosto 2017, principalmente a seguito della cooperazione con la libia per contenere le partenze ma la maggior parte delle persone è stata detenuta arbitrariamente in condizioni disumane.
Diritto all’alloggio e sgomberi forzati
Le autorità hanno continuato a violare il diritto dei rom a un alloggio adeguato in molteplici modi. Migliaia di rom sono rimasti in campi segregati, nella maggior parte dei casi in condizioni abitative al di sotto degli standard. Per i rom l’accesso agli alloggi popolari è rimasto sproporzionalmente limitato.
Tortura e altri maltrattamenti e Decessi in custodia.
Sono stati segnalati nuovi casi di tortura e altri maltrattamenti, così come avvenuto anche per il caso di Stefano Cucchi.
Commercio di armi
il governo italiano continua a vendere armi a Paesi che violano i diritti umani
Tutto questo mentre l’Europa ignora le richieste dei rifugiati al confine tra Bosnia e Croazia che sono in situazioni disumane.
Allora la cittadinanza onoraria che oggi concediamo a Patrick George Zakiserve – se davvero fosse necessario – proprio a ribadire al nostro Paese che vogliamo rispetto e giustizia per un nostro concittadino – che è cittadino del mondo e “ad alzare la voce quando tutti scelgono un prudente silenzio”
La forte mobilitazione avviata più di 6 mesi fa da una neonata ONG – GoFair – infatti ha cercato di coinvolgere numerosi comuni a concedere la cittadinanza onoraria a Patrick Zaky. Un gesto simbolico per stimolare – dal basso – il governo a un maggiore impegno diplomatico e istituzionale per una favorevole conclusione della vicenda anche attraverso il conferimento del passaporto italiano.
Già decine di comuni dal nord al sud hanno aderito. A partire da città metropolitane come Napoli, Milano e Bologna ad alcune amministrazioni irpine come Atripalda, Cesinali, Aiello del Sabato raccogliendo un forte sentimento popolare nato dallo stretto legame con la vicenda di Giulio Regeni.
Questa è la nostra storia, la storia di una generazione che ha scelto di studiare e di formarsi, di andare all’estero, di conoscere altre culture e di mettere a servizio di tutti la conoscenza e i saperi.
Sono felice che da oggi potremmo dire Patrick è no vaglione r’Avellino, è uno di noi e la sua liberazione ci sta a cuore.
Così, con poche parole per spiegare il senso di ciò che stiamo per votare.
E abbiamo subito due modi per dimostrarlo. Domenica prossima 7 febbraio, a distanza di 365 giorni dall’arresto di Patrick, Amnesty International ha richiesto, anche a questa amministrazione, di illuminare un monumento di giallo per tenere accesa una luce sulla vicenda.
Poi credo che sia doveroso rilanciare quanto il comune di Avellino ha fatto già dal 2016, ripristinando uno striscione che chieda verità e giustizia per Giulio Regeni e libertà per Patrick Zaki.
Mi auguro che i balconi di questo palazzo si riempiano di simboli che scuotono le coscienze dei nostri cittadini e che il nostro quotidiano impegno li svuoti perché saremo riusciti a fare qualcosa di concreto ottenendo i risultati sperati,
Sono consapevole questo gesto potrebbe non cambiare niente, non spostare di un centimetro la politica internazionale del nostro Paese e le posizioni dell’Egitto ma che invece può cambiare da subito la nostra storia e l’educazione dei nostri concittadini.
Oggi ribadiamo che un voto per i diritti umani è un voto per il nostro futuro. Che non ci sarà sviluppo se non dal volto umano, se non tiene dentro tutti e non lascia indietro nessuno.
Ci ricorda, perché bussa alle nostre coscienze, che non ci sarà #NextGenerationEU
se non restituiamo ai nostri concittadini la dignità di alloggi popolari degni
di questo nome, che non ci sarà progresso per la nostra società se non saremo
accoglienti verso gli altri, verso quello che alcuni definiscono “diverso”, se
non apriremo i nostri “confini” piuttosto che chiuderli, ma soprattutto se non
garantiremo servizi che liberano le persone piuttosto che le rendono dipendenti
dalle politiche clientelari.
Il caso di Patrick George Zaki
Patrick George Zaki, attivista e ricercatore egiziano, si trova dall’8 febbraio 2020 in detenzione preventiva fino a data da destinarsi.
Il 25 agosto, per la prima volta da marzo, patrick ha potuto avere un breve incontro con sua madre. In questi mesi la famiglia aveva ricevuto da patrick solo due brevi lettere a fronte delle almeno 20 che lo studente aveva scritto e inviato.
Dopo estenuanti rinvii, le prime due udienze del processo si sono tenute solo a luglio. Nella seconda, risalente al 26 luglio, patrick zaki ha potuto vedere per la prima volta i suoi avvocati dal 7 marzo. In quell’occasione patrick è apparso visibilmente dimagrito. Il 26 settembre, a seguito di una nuova udienza, il tribunale ha deciso un ulteriore rinvio.
Il 7 dicembre il giudice della terza sezione antiterrorismo del tribunale del cairo ha annunciato il rinnovo per 45 giorni della custodia cautelare dello studente dell’università di bologna, in carcere da febbraio in egitto con l’accusa di propaganda sovversiva.
Il 19 gennaio il giudice dispone altri 15 giorni di detenzione nella prigione di tora per patrick zaki. A ufficializzarlo è stata hoda nasrallah, il legale dello studente. “ci sono volute 48 ore prima che un funzionario egiziano si degnasse di comunicare all’avvocata l’esito dell’udienza di domenica. Altri 15 giorni di detenzione preventiva per patrick. Una detenzione arbitraria.
Il 1 febbraio viene rinnovata per altri 45 giorni la custodia cautelare
Patrick george zaki rischia fino a 25 anni di carcere per dieci post di un account facebook, che la sua difesa considera ‘falso’, ma che ha consentito alla magistratura egiziana di formulare pesanti accuse di “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”.
Nel suo paese avrebbe dovuto trascorrere solo una vacanza in compagnia dei suoi cari in una breve pausa accademica.
A causa della diffusione del covid-19 anche in egitto per patrick, così come per altre decine di migliaia di detenuti egiziani, le preoccupazioni legate all’emergenza sanitaria sono fortissime.
Riteniamo che patrick george zaki sia un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media.
Patrick george zaki è stato arrestato al suo arrivo in egitto.
I suoi avvocati ci hanno riferito che gli agenti dell’agenzia di sicurezza nazionale (nsa) hanno tenuto patrick bendato e ammanettato durante il suo interrogatorio all’aeroporto durato 17 ore. Patrick è stato picchiato sulla pancia e sulla schiena e torturato con scosse elettriche.
Gli agenti della nsa lo hanno interrogato sul suo lavoro in materia di diritti umani durante il suo soggiorno in egitto e sullo scopo della sua residenza in italia.
In egitto, l’agenzia per la sicurezza nazionale (nsa) si rende responsabile di rapimenti, torture e sparizioni forzate nel tentativo di incutere paura agli oppositori e spazzare via il dissenso pacifico.