Oggi se dovessimo chiedere qualcosa sull’ex-Gil gli unici a dirci qualche parola di verità – purtroppo – sarebbero solo i ragazzi che stazionano davanti al suo ingresso. Una generazione che non ha mai avuto nemmeno la possibilità di poterci entare e poter vedere cosa fosse.
E questa è una sconfitta della classe politica di questa città che attorno a quella struttura ha fatto tanti annunci di apertura di cui oramai abbiamo perso i conti.
Le promesse tradite hanno oramai radici lontane, ma “rami” molto vicini nel tempo. Un simbolo tanto del degrado quanto della voglia di protagonismo dei giovani – quei giovani – molti dei quali diventati adulti – che non hanno fatto mai mancare di accedere quella “luce sull’Eliseo”. Una struttura che negli anni ha mancato tutto ciò che sarebbe dovuto essere, tutto ciò che le amministrazioni che si sono susseguite hanno promesso che sarebbe potuto essere.
Dobbiamo tornare a 3 programmazioni europee fa, quando nel settennato 2000/2006 il comune di Avellino metteva in piedi un programma complesso di recupero del patrimonio pubblico tra cui l’ex gil. Un progetto da € 4.813.698,29.
Una risposta – seppur tardiva – all’occupazione del cinema a cavallo tra il 1992 e il 1993. Gli occupanti successivamente si accordarono per spostarsi in una parte delle strutture della scuola agraria di viale Italia (in quello che si chiamò “interzona”). Significativa fu l’assoluzione per gli indagati che ne stabilirono non solo l’innocenza ma addirittura l’azione meritoria per gli interessi della comunità.
Era ottobre 2007 quando l’allora sindaco Galasso prometteva alla città l’apertura del complesso – come casa della cultura cinematografica entro fine anno. – ribadita nel luglio 2011 quando la giunta Galasso, con vicesindaco Festa, ne sancì il ruolo senza ipotizzare una modalità di gestione
Da allora di anni ne sono passati quasi 14 e l’ex Gil non solo non ha visto mai un’apertura che possa essere definita tale, a parte timide porte socchiuse, ma è stato ed è continuamente vittima di atti vandalici compreso l’incendio del gennaio 2013 che ha compromesso la sala cinema – anch’essa mai aperta.
Un anno e mezzo prima ci aveva pensato il movimento globale “Occupy” a riaccendere i riflettori sull’Eliseo, e più in generale sull’arte dell’abbandono protagonista ad Avellino. Avevano piantato le tende proprio li, in quel piazzale tanto grande quanto vuoto. Vuoto di iniziative culturali, vuoto di arredo, vuoto di idee. Un movimento generazionale che aveva l’ambizione di contrapporre la partecipazione alla crisi economica globale.
Ma è proprio per rispondere a quell’incendio che con un significativo atto d’amore nasce il comitato “Luce per l’Eliseo” che ha aperto Avellino alle esperienze più avangaurdiste di tutela dei beni comuni in una stagione che ha visto portare il tema all’attenzione del legislatore convinti del fatto che – per dirla con una definizione di Ugo Mattei anch’egli intervenuto sulla questione dell’ex Eliseo- “i beni comuni sono riconosciuti in quanto tali da una comunità che si impegna a gestirli e ne ha cura non solo nel proprio interesse, ma anche in quello delle generazioni future.”
E 10 anni dopo quella promessa di apertura e altre centinaia di migliaia di euro spesi per il ripristino della struttura arriva dal consiglio comunale il via libera alla fondazione di partecipazione, come primo esempio in città di gestione di un bene comune dando incarico all’ordine notarile di redarne lo statuto. Fu proprio l’attuale vicesindaco a partecipare agli stati generali dei beni comuni in città e a proporre a quest’aula questa strada coraggiosa. Ma quel risultato così sofferto ha rappresentato l’ennesima promessa tradita di una politica che ha solo voglia di mettere le mani su tutto senza lasciare spazio per liberare le migliori energie della città.
Non è un caso che nei primi mesi questa amministrazione è stata quella di accantonare questa opportunità con l’annuncio di una fondazione unica degli spazi culturali della città. Un’idea vuota di contenuti, velleitaria, strumentale e potenzialmente clientelare il cui unico obiettivo ad oggi raggiunto – sotto gli occhi di tutti – aver sospeso l’apertura della struttura, di cui oggi se ne sono completamente perse le tracce.
Sono stati i notai Romana Capaldo, Franco Pastore, Flora Veneruso, Enrico Maria Stasi e Paolo Criscuoli che hanno lavorato gratuitamente riconoscendone il valore simbolico dell’istituzione nascente, eppure consegnando il documento richiesto, hanno verificato la volontà della nuova amministrazione che nel frattempo aveva incredibilmente mutato indirizzo.
Fa specie che sono gli stessi che siedono in questa giunta e che sulla difesa di quel modello di gestione hanno chiesto i voti in campagna elettorale a tradirla al primo momento utile pensando addirittura di destinare la struttura ai Carabinieri Forestali come se servisse un presidio delle forze dell’ordine per limitare gli atti vandalici e non spalancare le porte e far entrare le persone e renderlo un luogo vivo.
D’altronde basterebbe ripartire dalla delibera di consiglio del 2017 per avere una strada già tracciata e questa discussione non avrebbe nemmeno più senso di esserci.